IL MIO STAN LEE
Scrivo queste righe dopo aver meditato alcuni giorni sulla scomparsa di Stan Lee.
Alla fine ho deciso che non farò il racconto della sua vita, o della infinita diatriba con Jack Kirby o Ditko sulla paternità dei personaggi su cui hanno lavorato o sul metodo Marvel. Per quello hanno già pensato un sacco di persone più in gamba di me.
Era riuscito (con intelligenza) a ritagliarsi la parte del nume tutelare
della Marvel e, allo stesso tempo una specie di “marchio di qualità”. Era il tizio sorridente che vedevo spuntare
ogni tanto qua e là, nei redazionali o nei commenti, o che posava con il
manichino dell’uomo ragno, era quello che, nei volumi di ristampe Marvel
Masterworks descriveva come aveva creato quel personaggio o quel villain (per
poi contraddirsi la volta dopo. Lui sembra fosse fatto così).
Come tutte le persone longeve e ancora attive era diventato “scontato”, nel senso che faceva parte del mondo
esattamente come l’aria: c’era già quando mio padre era giovane, c’era quando
ero nato, era sempre stato lì, ed era finito per diventare un simbolo più
che una persona e quindi, come tutti i simboli, immortale.
Alla fine ho deciso che non farò il racconto della sua vita, o della infinita diatriba con Jack Kirby o Ditko sulla paternità dei personaggi su cui hanno lavorato o sul metodo Marvel. Per quello hanno già pensato un sacco di persone più in gamba di me.
Io racconterò quello che per me ha
rappresentato quest’uomo e il suo lavoro, nel bene e nel male, prima che diventasse per i più
giovani “quel tipo che compare in tutti i film”.
Stan Lee era riuscito a diventare una
icona, un personaggio come quelli da lui creati.


E quando invece un simbolo scompare, rivelando
la sua fragilità umana è, per forza di cose, uno shock. Una seconda perdita dell’innocenza.
Non ci sarà nessun colpo di scena, nessuna entità cosmica a riportarlo
indietro. Non si può viaggiare nel tempo con la macchina del Dottor Destino per
cambiare il passato. In questo universo il tempo va sempre avanti non si torna
indietro.
La morte di Stan Lee, alla fine, è questo, almeno per me: la fine di una lunga adolescenza, di un’epoca
fatta di eroi tragici e umani, di cattivi altrettanto umani e convinti di
essere vittime.
Ti costringe a venire a patti con la tua età e con i tuoi limiti. Una specie
di “memento mori” nerd.
Lascia dietro di sé come eredità una nuova mitologia, archetipi
rimasticati ma, allo stesso tempo, nuovi.
uno dei tuoi tanti Veri Credenti.